I boschi

Vette di Feltre dalla Val Noana
(foto di: Gianni Poloniato)

I boschi hanno sempre costituito uno degli elementi più fluttuanti del paesaggio, i primi ad essere aggrediti per ricavare nuovi pascoli o terreni coltivabili, per ottenere legna da ardere, per alimentare i forni fusori delle miniere, quando la pressione demografica o congiunture economiche sfavorevoli si facevano sentire.
Si selezionava la vegetazione arborea dando spazio a specie più utili o più redditizie, Squadre di boscaioli, organizzate secondo una struttura gerarchica, si muovevano a loro agio negli spazi boschivi. Le operazioni di esbosco, di avvallamento del legname, di trasporto fino ai punti di ammasso richiedevano capacità tecniche e profonda conoscenza della morfologia ambientale.
Ma il bosco era percorso anche da famiglie di carbonai che per molti mesi all’anno vivevano nelle radure, dormendo in capanne di frasche. Uomini, donne e bambini allestivano le carbonaie (poiàt) in spiazzi pianeggianti (èra, aiàl), sorvegliando giorno e notte il lento procedere della combustione, finché il fumo diventava turchino e il carbone era pronto.
Si prelevavano le specie legnose più adatte per costruire oggetti e utensili di lavoro.
Il bosco era il luogo privilegiato per l’incontro con esserei fantastici, che si riteneva dimorassero negli anfratti rocciosi, nelle grotte, in prossimità delle sorgenti: l’Om Salvàrech, il Mazaròl vestito di rosso, le bellissime Vane o Anguane, le stupide Cavestrane, la paurosa Caza Salvarega.